MARCO E VIOLA

Marco e Viola

 

La luce filtrava a stento tra le tapparelle strette della cucina. 

Ma forse non era colpa delle tapparelle quanto del centro storico. 

Quella casa, in un palazzo vecchio, aveva le finestre che confinavano con quelle del civico a fianco che quasi ci si poteva scambiare le tazzine del caffè affacciandosi. 

Loro due erano stanchi e stremati da una notte di litigi e incomprensioni. 

Marco era seduto a terra, i piedi scalzi, una maglietta verde che recitava Alive, la schiena appoggiata al divano, leggeva un libro tenendolo con una mano sola. 

Viola era in piedi davanti al frigo dal quale tirò fuori una scatola di latte. 

 

-Ne vuoi?- 

-lo avveleni?- 

-non ancora-

-allora si- le rispose. 

La ragazza prese due bicchieri di vetro trasparente con delle piccole foglie verdi in rilievo, roba che non ricordava neanche di avere, li riempì quasi fino all’orlo, come piaceva a loro. 

-Ecco tieni- gli appoggiò il bicchiere sul tavolo della cucina. 

Lui si alzò emettendo un gridolino di dolore. Si scrollò la maglietta e si mise a sedere a capotavola. 

Lei si sistemò di fronte a lui. 

Il latte era fresco, dissennante, scendeva in gola restituendo ad entrambi la sensazione di guarire le ferite inferte alla faringe dalle urla, era quasi una visione celestiale. 

-Ti ricordi quel quadro?- gli chiese, Viola indicò con il dito medio della mano con cui teneva il bicchiere un quadretto appeso alla parete. Pendeva da un lato, a lei piaceva così. 

Marco guardò nella direzione indicata dal dito. 

-Certo che me lo ricordo. Ancora mi chiedo come abbiano fatto a spillarci centoventi dollari per quell’oscenità- 

-Non è osceno- 

-Si che lo è. È il nulla cosmico-

-A New York costa tutto tanto- 

-Ma tu riuscivi a farti piacere tutte le cose più inutili e sempre a prezzi folli- 

-E allora perché mi compravi tutto quello che volevo se pensavi fossero cose oscene e inutili?- 

-Perché ti amavo e non riuscivo a dirti di no. Perché dirti no mi pesava, dirti si mi rendeva felice- 

-Mi amavi, al passato- 

-Devo dirti che ti amo ora? Abbiamo passato la notte a dirci le peggio cose. Ci siamo rinfacciati anche la vita precedente, non credo che siamo nella posizione di proclamarci amore- 

-E’sempre così tra di noi. Tu non puoi credere che dopo un litigio si possa trovare un punto di incontro- 

-No, ti sbagli, io ci credo nella volontà di trovare un punto di incontro. Ci credo nel litigio che possa servire a far ripartire il rapporto. Ma tu non vuoi questo, non è vero. Tu vuoi che ti sia permesso rinfacciarmi quello che ho fatto ogni volta che vuoi, a piacimento, quando ti aggrada, quando ne hai necessità, quando ti girano le ovaie come dici tu, praticamente ogni volta che il mio respiro non ti soddisfa- Marco rispose senza riprendere mai fiato, gesticolando senza sosta, con la vena giugulare gonfia e un rivolo di sudore freddo che gli rigava la fronte. 

-E tu? Pretendi che io capisca. Che io mi butti l’errore, il tuo errore, alle spalle. Com’è che dici? “E’ successo, devi andare avanti”- Viola imitò la voce profonda di Marco. 

Si sciolse i capelli perché sentiva un dolore alle tempie ma sapeva che non era la coda alta che le provocava quel fastidio, piuttosto tutte le lacrime che aveva prodotto la notte precedente. 

La vita era cambiata in uno schioccare di dita. Un minuto prima prepari la cena ed un minuto dopo ti arriva un messaggio con un video in cui il tuo ragazzo è ripreso a letto con un’altra. 

Un minuto prima stai lavorando in libreria senza particolari pensieri ed un minuto dopo un ragazzo ti chiede di cercare un libro di Camilleri, tu alzi lo sguardo su di lui, e ti becchi il primo colpo di fulmine della tua vita. Così si erano conosciuti Viola e Marco. 

Marco era rientrato a casa ignaro di quello che lo aspettava. Sul tavolo in cucina, il cellulare di Viola trasmetteva il video che lo ritraeva ansimante e su di giri. 

Dovette sedersi, le mani in faccia in un gesto di diniego. Quello nelle immagini era lui. 

Quel video l’aveva fatto la ragazza, doveva portare le prove agli amici di Marco. L’addio al celibato di Roberto si era trasformato in un casino di persone che nessuno conosceva. 

Quella notte di appena due giorni prima, in una villa fuori città, si era tenuta quella festa che doveva essere per gli stretti amici di Marco e Roberto. Ma qualcosa era andato storto ed era cominciato un andirivieni di persone che aveva visto la villa trasformarsi in una discoteca con oltre duecento persone sparse che ballavano e si divertivano. 

Tra loro anche diverse ragazze e lei, quella del video. 

Non era colpa della ragazza, era solo colpa sua. 

Marco si guardò intorno in cerca di Viola e vide la luce del bagno fare capolino dalla fessura sotto la porta. 

Si avvicinò 

-Viola- 

-Vattene- piangeva 

-Viola, mi dispiace. Ho fatto una cazzata- 

-Ti ho detto vattene- 

-Ti prego, non volevo. Vorrei poter tornare indietro. Mi sono pentito all’istante. Non voglio giustificarmi ma avevo bevuto, tanto, troppo- 

Non sembrava un vero pianto quello che Marco percepiva al di là del vetro smerigliato, era come un lamento, come quando ti fa male la pancia o ti rompi un braccio.

Provò ad aprire la porta ma Viola l’aveva prudentemente chiusa a chiave. 

Si accasciò davanti al bagno con la testa appoggiata pesantemente allo stipite della porta. 

-Doveva essere una festa privata. Avevamo organizzato tutto bene. Solo noi, gli amici di sempre. Avevo preparato anche una lettere per Roberto. L’ho scritta in ufficio. Gli ho ordinato la torta, lo sai. Volevo che lui avesse una festa tranquilla, dopo tutto quello che hanno passato lui e Lorena. Non volevamo fare casini. Ma Giulio si è portato dietro un amico di cui non sapevamo niente e questo aveva detto della festa a mezzo mondo. All’improvviso abbiamo visto arrivare macchine piene di gente già mezze sballate, e sì c’era anche questa ragazza. Probabilmente non sa neanche come mi chiamo- 

Dall’altro lato della porta Viola ascoltava 

-perché?- gli chiese 

-perché sono un idiota- 

-Hai rovinato tutto-

Viola era ipnotizzata, incantata su un punto delle mattonelle del pavimento, la sua voce era incolore o forse era semplicemente pietrificata dalla sensazione di non sapere chi fosse l’uomo dall’altra parte della porta. 

Commenti