“Cose che non si raccontano” recensione

“Cose che non si raccontano” recensione

 

Mi ero detta che non volevo leggerlo. Avevo letto la trama e per connessioni, per eventi simili, per ricordi passati, io avevo deciso che non faceva per me. Poi i social, posto dove io passo troppo tempo, mi hanno bombardata di post in cui di questo libro si dicevano cose strabilianti. Non tanto per la trama ma per il coraggio, per l’esposizione di una donna che decide di mettere “in piazza” i fatti suoi. Fatti privati a dir poco, personali, intimi, dolorosi, tragici, e per molti aspetti davvero incredibili. 

“Provo a leggerlo” mi dico. Non lo compro. Lavoro in libreria ma decido di non comprare il libro. Leggo l’anteprima sul Kobo, perché questo sistema ti permette di leggere le prime 10-20 pagine del libro e decidere, quindi, se fa per te o no. 

Prime pagine lette in venti minuti. Antonella Lattanzi mi ha convinta purtroppo, o per fortuna. 

Acquisto il libro, d’istinto, sempre sul mio Kobo. Non voglio perdere tempo, devo capire come continua. 

Oggi è mercoledì 26 aprile. Il libro l’ho acquistato sabato 22 aprile, domenica non ho letto. L’ho finito in tre giorni. 

E’ un libro difficile e la capisco. Capisco Antonella Lattanzi che in alcune pagine, che somigliano tanto ad annotazioni, ammette di essersi dovuta fermare, di aver dovuto riprendere fiato perché i ricordi sono laceranti. 

Lo stile non si discute. Antonella Lattanzi ti inchioda alle pagine. Tu stai lì e aspetti di capire come va a finire quella storia che non ha nulla di normale, è inimmaginabile. 

Ho strabuzzato gli occhi più e più volte leggendo cosa le è accaduto. E’ proprio vero che la realtà supera la fantasia!. 

In “Cose che non si raccontano”, l’autrice, Antonella Lattanzi racconta il suo percorso nel mondo della fecondazione assistita. A quarant’anni si sente pronta per un figlio. Ha l’uomo giusto accanto e nonostante le mille preoccupazioni per la sua vita pensa che vuole diventare mamma. E lo vuole davvero. Amandosi quando se ne ha voglia non porta i risultati sperati. La coppia ha bisogno di un aiuto, quindi si comincia con controllare l’ovulazione, poi la temperatura, poi si continua con punture, stimolazioni, insomma si entra in quel vortice in cui fare l’amore diventa un dovere e non piace a nessuno. 

Nonostante sia già così una situazione frustrante lei non resta incinta. Si prosegue con la fecondazione assistita. Impianti, sofferenza, dolore fisico perché siamo anche in pieno Covid… 

Quello che accade successivamente non ve lo svelo, il libro lo dovete leggere ma sappiate che è difficile da pensare! 

A margine ma solo per scelta (credo) c’è un problema che solo le donne possono sentire: il ruolo della donna nella società. Antonella ha paura che fare un figlio la rallenti nel lavoro, e ha ragione, perché in questo mondo dominato (ancora e ancora) dall’uomo se ti fermi per fare un figlio nessuno ti aspetta, nessuno capisce, nessuno ti aiuta. 

E lei quindi rimanda, rimanda perché vuole la stabilità, raggiungere i suoi obiettivi. E se è una donna a pensare questo allora quello che accade a lei diventa la conseguenza del suo egoismo. “Te la sei cercata”, “dovevi farli quando eri giovane”, “è colpa tua”. Lei pensa queste cose indotta da una società in cui ai colloqui di lavoro ti chiedono se hai intenzione di avere una famiglia, che non ti assumono se hai più di trent’anni, che ti consigliano come vestirti, truccarti, curarti. 

Sono certa che questo argomento sia stato inserito perché fondamentale per l’autrice, perché la sua esperienza e gli episodi raccontati esprimono l’urgenza di una politica che metta in condizione le donne di fare figli ( se vogliono, come vogliono e con chi vogliono) oppure di fare carriera per puro merito. 

Antonella ha incontrato tante persone empatiche e gentili nel suo percorso ma altrettante ruvide e distaccate soprattutto nei momenti più delicati, chissà che cosa ha imparato! 

Ho adorato la sua sincerità disarmante, i suoi pensieri arrabbiati, talvolta cattivi perché a parlare era (ed è) il dolore, ho capito ogni sua scelta e ho trovato assolutamente perfetta la chiave stilistica scelta per raccontare. 

Un libro struggente, da pelle d’oca. 

 

 

 

 

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