Crescere può essere doloroso, ma si può raccontare con ironia

Crescere può essere doloroso, ma si può raccontare con ironia

Non sempre crescere è una passeggiata ci possono essere centinaia di intoppi nei momenti più delicati della propria vita e “Tempesta madre”, l’ultimo romanzo di Gianni Solla edito da Einaudi, parla proprio di queste difficoltà.  

Il protagonista si chiama Jacopo e già dalla prima riga del romanzo, fa capire che non ha avuto un’infanzia idilliaca, infatti il bambino si presenta vestito da Hitler, a festeggiare il Carnevale all’autogrill a Capodimonte con una finta copia del “Mein Kampf” appoggiata su un tavolino a forma di spicchio di pizza. 

Jacopo ha avuto un’educazione sentimentale pressoché fallimentare visti che confessa praticamente subito che dei genitori insieme ricorda solo le urla,(e non di gioia come quelle che si fanno quando si vince su Slot gratis), i litigi, un po’ in italiano e un po’ in napoletano, come se fossero due lingue incomprensibili tra loro, che sottolineano ancora di più il fatto che i mondi da cui provengono sono completamente differenti. 

Le tappe della crescita di Jacopo

“Tempesta madre” indaga le tappe della crescita di questo bambino nato nel cosiddetto  “Rione delle mosche”, un quartiere composto solo da palazzine che sbucano da ogni parte del terreno, e che se viene visto da lontano sembra un blocco unico di cemento.

Jacopo è il classico bambino “strano”, quello dalla  memoria prodigiosa, che conosce tutti i tipi di meduse, che scrive tutto quello che dice la madre bella, ma tremendamente complicata. Il bambino comunque deve purtroppo finire a fare i conti con un infinito intreccio di traumi, di mancanze e di difetti.

Crescere gli dà molta consapevolezza e profondità, ma non è del tutto una cosa positiva, non come spesso viene raccontato in altre storie dove i bambini che hanno avuto dei traumi infantili riescono a risolverli in quattro e quattr’otto.

Uno stile pungente, ma molto accattivante

L’autore crea un romanzo sui limiti, sulla diversità e sulle distanze, misurando con precisione il dolore per renderlo armonioso con la sua scrittura precisa e sempre pertinente. 

Ad un certo punto il professor Iannelli dice a Jacopo “Abbiamo molto lavoro. Bisogna pulire, la maggior parte delle parole che usi non serve” e Solla, dimostra che lui conosce molto bene questa lezione, declinandola in uno stile pungente e che sta ben alla larga dal compiacimento. 

Il lavoro dell’autore è più di sottrazione, per potersi soffermare meglio sul difetto e sul suo margine perché, come dice nel romanzo la lavandaia del quartiere, ogni macchia è un atlante illustrato, basta solo avere gli occhi buoni per riconoscere i dettagli.

Commenti